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Il castello
Il Castello di Montaldeo
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Descrizione
Il panorama del paese, da qualunque parte lo si guardi, è caratterizzato dalla presenza sovrastante del castello, un'imponente struttura a forma di parallelepipedo che, con la sua mole, pare sproporzionato rispetto alle modeste dimensioni dell'abitato. Il massiccio edificio incombe infatti senza mascherature di sorta sulle case del borgo, rispecchiando con fedeltà, e piu che in altri luoghi, quella che per secoli fu la situazione economica e sociale della zona, stretta fra la scarsezza di risorse materiali e il peso della gestione signorile. La tipologia a corpo unico è canonica per le residenze signorili fortificate in certe regioni, come la Valle d'Aosta. Se ne trovano invece rari esempi nel Piemonte settentrionale e centrale. Riappare, in forma matura, nella serie dei castelli di famiglie genovesi che costellano l'Alto Monferrato, da Gavi a Ovada. Di questi, Montaldeo e senza discussione l'esempio piu rilevante.
Rigidamente parallelepipedo, anzi, quasi cubico, a due piani più quello di ronda (dotato integralmente di apparato a sporgere), sorge su un basamento a sua volta fortificato con garritte e residui di antiche torri, ancora circondato su tre lati dal giardino. La somiglianza, tipologica e formale, con il castello di Verres è impressionante. Alla fabbrica si accede mediante una ripida salita acciottolata, che continua anche oltre l'arco acuto d'accesso, nei pressi del quale si trova il posto di guardia, e da cui si entra nel grande cortile rettangolare. Il primo piano è caratterizzato da un ampio salone, detto "degli stemmi", fornito di un camino tardo cinquecentesco, nonchè dalla sala del tribunale, in cui veniva esercitata dai feudatari la bassa giustizia . Di particolare suggestione sono i sotterranei, nei quali si conservano le prigioni, a cui si accede attraverso una serie di passaggi labirintici e scalette, ricavate nello spessore dei muri, n� mancano i pozzi a trabocchetto e gli strumenti di tortura. Durante i mesi estivi il castello è abitato dall'attuale proprietario,
il marchese Clemente Doria
, discendente della famiglia, che per secoli ha dominato il paese, il quale, con atto di liberalita,
mette a disposizione della Comunita i cortili inferiori e i giardini, per manifestazioni di intrattenimento organizzate dalla Pro Loco
.
LO SPETTRO DELLA MONACA
Al castello è legata una delle leggende più famose del nostro Monferrato. Si narra che, nelle notti più burrascose dell'estate, quando guizzano i lampi e la tempesta si scatena, o in quelle più lunghe dell'autunno o dell'Inverno, quando la pioggia scroscia contro le vecchie mura o la neve, spinta dalla bufera sibilante, turbina attraverso i merli, lassù in alto, sul camminamento di guardia, appariva una figura di donna, sfarzosamente adornata, con una grande cuffia in capo. Lo spettro, sprizzante fiamme e fumo dagli occhi e dalla bocca, fa parecchie volte il giro dei merli con incedere lento e solenne, poi, ad un tratto, la figura si converte in una striscia di luce e si dilegua, lasciando dietro di se un lugubre lamento.
La tradizione ha identificato l'essere diabolico in
Suor Costanza Gentile
, che fuggì dal monastero di San Leonardo di Genova, nel 1699. La giovane viene riconosciuta e fermata a Voltaggio, ma l'intervento di Clemente Doria, signore di Montaldeo e suo amante segreto, la fece liberare. La storia d'amore, che la legava al nobile genovese e che l'aveva spinta alla fuga, sembrava così concludersi felicemente. Fin qui la storia documentata; narra poi la leggenda: In una sera invernale di tormenta, giungendo inatteso al castello, il marchese, introdottosi per un passaggio segreto, la sorprese fra le braccia di un nuovo amante. L'ira lo acceco ed egli ordino a due corsi della scorta di uccidere la donna e di murarne il cadavere. Poi, incurante della neve che chiudeva i valichi, riparti dal castello per non tornarvi mai più. Morì parecchi anni dopo, carico d'onori, ma lontano dalla patria. Da allora all'anima dannata della monachella lussuriosa, senza requie per il suo peccato mortale, è consentito, solo nelle notti più cupe, di ritornare a piangere la troppo breve e perduta felicità.
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